Diodi a valvola
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1 – RADDRIZZATORI A SEMIONDA
Nello scorso articolo si è accennato brevemente all’impiego del diodo per il raddrizzamento della corrente alternata; riprendiamo ora l’argomento per esaminare dettagliatamente il funzionamento del circuito RADDRIZZATORE A SEMIONDA.
Riferiamoci ancora al circuito considerato nella precedente lezione, il cui schema è nuovamente riportato nella fig. 1.
Fig. 1
Ricordiamo che durante il semiperiodo in cui è positivo il polo del generatore collegato all’anodo del diodo (fig. 1-a), nel circuito passa una corrente che attraversa il diodo ed il resistore in serie ad esso nel senso convenzionale indicato dalle frecce nella fig. 1-a.
Poiché il diodo ed il resistore sono collegati in serie, la tensione alternata V fornita dal generatore si suddivide tra questi due elementi: ai capi del diodo si stabilisce la tensione anodica Va necessaria per farlo attraversare dalla corrente, mentre ai capi del resistore si ha la tensione che è stata indicata con Vu (tensione utile) in quanto per ora si suppone che il resistore costituisca il carico del circuito, cioè sia l’elemento in cui viene utilizzata la corrente.
Per fare attraversare il carico da questa corrente occorre di solito una tensione Vu di alcune centinaia di volt, mentre per fare attraversare il diodo dalla stessa corrente occorre una tensione Va di appena qualche decina di volt, come si è visto nell’articolo precedente; la tensione alternata V risulta dunque applicata in gran parte ai capi del resistore.
Poiché la tensione Vu è di poco inferiore alla tensione V, si può supporre che quest’ultima tensione sia applicata interamente ai capi del resistore, trascurando la tensione Va, molto minore, che in realtà si ha ai capi del diodo; d’ora in poi si riterrà perciò che l’intera tensione V sia applicata ai capi del resistore, durante il semiperiodo in cui il circuito è percorso dalla corrente.
Invece, durante il semiperiodo in cui è negativo il polo del generatore collegato all’anodo del diodo (fig. 1-b), questo elettrodo non può più attrarre gli elettroni emessi dal catodo e non si ha perciò circolazione di corrente perché il circuito risulta interrotto fra i due elettrodi del tubo.
Non essendovi corrente nel circuito, ai capi del resistore non avviene alcuna caduta di tensione e di conseguenza tra i due elettrodi del diodo vi è la stessa tensione V fornita dal generatore, come è indicato nella fig. 1-b.
Per comprendere meglio il funzionamento del raddrizzatore a semionda, conviene vedere come variano nel tempo le tensioni suddette e la corrente.
Fig. 2
Dal momento che la tensione V fornita dal generatore è alternata con andamento sinusoidale, possiamo senz’altro rappresentarla come si è fatto, per due periodi completi, nella fig. 2-a, supponendo che la tensione abbia il valore massimo di 300 V indicato nella figura stessa.
Questa corrente si può considerare come una corrente alternata mancante delle semionde negative, in quanto il diodo non permette la sua circolazione in corrispondenza alle semionde negative della tensione V.
Supponendo che il resistore di carico abbia una resistenza di 5 kΩ e ricordando che ai suoi capi si considera applicata l’intera tensione V del valore massimo di 300 V, risulta che la corrente deve avere un valore massimo di 300 : 5 = 60 mA, come è indicato nella fig. 2-b.
Anche la tensione rettificata Vu, presente ai capi del carico, si può dunque considerare come una tensione alternata mancante delle semionde negative: il raddrizzatore è detto appunto A semionda, perché ad ogni periodo della tensione alternata permette di ottenere una sola semionda, quella positiva, eliminando quella negativa.
Occorre tenere presente, a questo punto, che, in pratica, un raddrizzatore a semionda risulta un po’ diverso da quello della fig. 1.
Innanzitutto la tensione alternata viene ottenuta normalmente dalla rete di distribuzione dell’energia elettrica; poiché di solito il valore della tensione di rete è diverso da quello occorrente, si alimenta il circuito mediante un trasformatore, dal cui secondario si ottiene la voluta tensione alternata e per sicurezza si avrà anche una separazione del circuito stesso dalla rete.
Si deve tenere presente, inoltre, che molto spesso tutti gli elementi costituenti il circuito sono fissati ad un unico supporto metallico, generalmente in ferro od alluminio, che è detto telaio.
Poiché il telaio è metallico e quindi può condurre la corrente elettrica, viene usato in sostituzione di uno dei conduttori del circuito che servono per collegare tra loro i vari elementi. Mantenere la tensione di rete scoperta ed accessibile non sarebbe in nessun caso sicuro.
Tenendo conto di ciò, il circuito rettificatore si può rappresentare come si vede negli schemi della fig. 3.
Fig. 3
Tutte le correnti che circolano nei vari circuiti di un’apparecchiatura ritornano al trasformatore attraverso il telaio, che si può considerare pertanto come un conduttore massiccio, anziché filiforme; si usa dire correntemente che il telaio costituisce la massa dell’apparecchiatura. Il collegamento a terra del telaio si esegue per ragioni di sicurezza, nei casi in cui si ritiene che il telaio stesso possa essere toccato da qualche persona. Si evita in tal modo che chi tocca il telaio, avendo i piedi a contatto della terra, possa trovarsi con il suo corpo tra due punti a potenziale diverso e quindi ricevere una scossa elettrica.
2 – RADDRIZZATORI AD ONDA INTERA
Per comprendere il funzionamento di un raddrizzatore ad onda intera, conviene considerare anzitutto il trasformatore con cui viene alimentato il circuito stesso, esso ha un secondario munito di una presa centrale.
Se si collega la presa centrale a massa, si possono riferire a questa i potenziali dei due estremi del secondario e considerare quindi le tensioni che vi sono tra questi stessi estremi e la massa.
Come si vede nella fig. 4 il circuito raddrizzatore ad onda intera si può dunque considerare formato dall’unione di due circuiti raddrizzatori a semionda. I due circuiti raddrizzatori così uniti non si disturbano a vicenda perché non funzionano mai contemporaneamente.
Fig. 4
Si può notare che i due diodi hanno il catodo collegato allo stesso punto del circuito: da ciò si comprende che, invece di usare due diodi completamente distinti, si può usare un solo tubo che racchiuda nello stesso bulbo due anodi ed un unico catodo. Tali diodi sono detti A doppio anodo, oppure anche biplacca appunto perché sono muniti di due anodi o placche.
Fig. 5
Nella fig. 5-a si può vedere che i due anodi sono disposti intorno al cilindretto del catodo uno sopra l’altro e sono collegati ciascuno ad un proprio piedino; negli schemi elettrici il doppio diodo viene rappresentato mediante il segno grafico riportato nella fig. 5-b.
Solitamente lo schema di un circuito raddrizzatore munito di un doppio diodo si disegna come si vede nella fig. 6; per quanto riguarda i collegamenti, questo schema non differisce da quelli riportati nella fig. 4.
Fig. 6
Infatti, in entrambi i casi gli anodi sono collegati agli estremi del secondario, mentre il catodo è collegato al resistore connesso a massa.
3. – FILTRI DI LIVELLAMENTO
I circuiti che permettono di rendere costante l’intensità della corrente nel resistore di carico, trasformando così la corrente pulsante in corrente continua, sono detti filtri di livellamento; è più esatto dire che da questi filtri si ottiene una tensione continua che, applicata ad un resistore, farà circolare in esso la corrente continua.
Anzitutto conviene considerare che cosa accade quando si collega un condensatore in parallelo al resistore posto in serie ad un diodo raddrizzatore a semionda, come si vede negli schemi della fig. 7.
Fig. 7
Quando il diodo è attraversato dalla corrente (fig. 7-a), una parte di questa corrente carica il condensatore, in modo che la sua armatura collegata al catodo del diodo diviene positiva rispetto all’altra armatura collegata a massa; la parte rimanente della corrente che attraversa il diodo percorre invece normalmente il resistore. Quando il diodo non è attraversato dalla corrente (fig. 7-b), il condensatore si scarica attraversando il resistore e costituendo la corrente di scarica che circola nel senso indicato dalle frecce nella fig. 7-b.
In tal modo il resistore risulta percorso sempre nello stesso senso da una corrente che proviene ora dal diodo ora dal condensatore. Per vedere quale andamento ha questa corrente, occorre considerare come varia la tensione ai capi del resistore e quindi anche ai capi del condensatore collegato in parallelo ad esso.
A questo scopo riferiamoci alla fig. 8, in cui sono riportati i diagrammi della tensione alternata V fornita dal secondario del trasformatore (fig. 8-a) e della tensione Vu (fig. 8-b) già indicata nella fig. 2-c, nel caso in cui tra catodo e massa vi è il solo resistore senza il condensatore in parallelo: le semionde positive costituenti la tensione Vu, disegnate ora con linea tratteggiata, permettono di vedere come viene modificato il loro andamento dal condensatore in parallelo al resistore.
Fig. 8
Dall’istante t1 in poi la tensione alternata (fig. 8-a) diminuisce e quindi, se non vi fosse il condensatore, dovrebbe diminuire anche la tensione Vu ai capi del resistore con l’andamento indicato dalla semionda tratteggiata nella fig. 8-b.
Ai capi del resistore è collegato, però, il condensatore, il quale, al diminuire della tensione, deve scaricarsi dando luogo alla corrente di scarica attraverso il resistore stesso.
A causa della resistenza opposta dal resistore alla corrente di scarica, impiega un certo tempo per scaricarsi: di conseguenza, la tensione Vu diminuisce più lentamente, con l’andamento indicato nella fig. 8-b dalla area in verde compresa tra gli istanti t1 e t2.
Tra questi due istanti la tensione Vu è sempre positiva e di valore maggiore di quello della tensione alternata V, che nel frattempo raggiunge lo zero ed in seguito il massimo negativo per poi iniziare un’altra semionda positiva.
Poiché la tensione alternata V è applicata tra anodo e massa, mentre la tensione Vu si ottiene tra catodo e massa, il fatto che nel tempo compreso tra gli istanti t1 e t2 il diodo è interdetto e non può essere attraversato dalla corrente.
Dall’istante t2 in poi, però, la tensione alternata, che sta aumentando perché compie la seconda semionda positiva, supera il valore della tensione Vu portando l’anodo ad un potenziale superiore a quello del catodo e quindi il diodo viene attraversato dalla corrente che carica il condensatore.
La tensione ai capi di questo elemento aumenta perciò insieme alla tensione alternata fino a raggiungere di nuovo il valore massimo nell’istante t3, dal quale si ripete lo stesso andamento descritto a partire dall’istante t1.
Visto così come viene modificato l’andamento della tensione Vu ai capi del resistore a causa del condensatore, è facile dedurre che anche la corrente circolante nello stesso resistore deve avere il medesimo andamento, come è indicato con linea marcata nella fig. 8-c.
Osserviamo che nel tempo compreso tra gli istanti t1 e t2 la corrente che attraversa il resistore viene fornita dal condensatore che si scarica perdendo in tal modo una certa quantità di elettricità; questa stessa quantità di elettricità viene fornita nuovamente al condensatore dalla corrente che attraversa il diodo nel tempo compreso tra gli istanti t2 e t3.
Poiché questo tempo, durante il quale il condensatore si carica, è molto più breve di quello compreso tra gli istanti t1 e t2, durante il quale il condensatore si scarica, la corrente di carica deve essere molto più intensa di quella di scarica, dal momento che la quantità di elettricità è sempre la stessa.
Nella fig. 8-c è anche mostrato come varia la corrente che attraversa il diodo per caricare il condensatore: a causa del caratteristico andamento di questa corrente, si dice che nel diodo si hanno picchi di corrente.
Nell’articolo precedente si è detto che la caratteristica di un diodo comprende un primo tratto a linea intera ed un secondo tratto a linea tratteggiata: questo secondo tratto serve appunto per conoscere il comportamento del tubo in corrispondenza ai suddetti picchi di corrente.
Si è anche detto che il tubo può funzionare in tali condizioni senza che si superi la massima potenza dissipabile e ciò è confermato dal fatto che, come si vede nella fig. 8-c, tra un picco di corrente e l’altro si ha un periodo di tempo piuttosto lungo durante il quale nessuna corrente attraversa il diodo, il cui anodo può pertanto smaltire il calore.
Occorre tuttavia assicurarsi che durante i picchi la corrente non sia così intensa da produrre un’eccessiva dissipazione anodica.
Si deve tenere presente, inoltre, che il catodo del diodo non deve emettere corrente superiore ad un certo valore, perché oltre questo valore può danneggiarsi.
Poiché la corrente di picco risulta tanto più intensa quanto maggiore è la capacità del condensatore che deve caricare, i costruttori dei diodi indicano generalmente la massima capacità del condensatore che è possibile collegare in parallelo al carico senza che i picchi di corrente risultino pericolosi per l’integrità del catodo.
Fig. 9
Anche nel caso di un raddrizzatore ad onda intera, collegando un condensatore in parallelo al resistore si ottiene una tensione che, come si vede nella fig. 9, ha un andamento simile a quello considerato per il raddrizzatore a semionda.
Nel raddrizzatore ad onda intera le semionde positive non sono più separate da un intervallo di un semiperiodo, ma si succedono ininterrottamente, come è indicato con linea tratteggiata nella fig. 9.
Di conseguenza, mentre la tensione ottenuta dal raddrizzatore a semionda varia riprendendo gli stessi valori dopo un tempo uguale al periodo della tensione alternata, come si vede nella fig. 8-b, la tensione ottenuta dal raddrizzatore ad onda intera riprende gli stessi valori dopo un tempo che è metà del precedente e quindi il suo periodo, indicato nella fig. 9, risulta la metà di quello della tensione alternata.
A causa di questo fatto, anche il tempo durante il quale il condensatore si scarica risulta dimezzato e perciò la diminuzione della tensione Vu e quindi la sua variazione è minore nel caso di un raddrizzatore ad onda intera. Ciò si può constatare confrontando i diagrammi della fig. 8-b e della fig. 9, in cui tale variazione, indicata con Vr, risulta data dalla differenza tra i valori massimo e minimo della tensione Vu.
Se con questa tensione Vu si alimentasse un radioricevitore, si otterrebbe una riproduzione accompagnata da un fastidioso ronzio, per il motivo che vedremo avanti.
Poiché il ronzio è dovuto al fatto che la tensione Vu varia tra il suo valore massimo ed il suo valore minimo, si chiama tensione di ronzio la differenza Vr tra i valori suddetti.
La tensione di ronzio, essendo dovuta alle successive cariche e scariche del condensatore, deve dipendere sia dalla capacità del condensatore stesso, sia dalla corrente che questo elemento fornisce al resi-store di carico durante la sua scarica.
E’ evidente che, quanto maggiore è la corrente assorbita dal carico, tanto maggiore risulta la scarica del condensatore e quindi la diminuzione della tensione ai suoi capi, che costituisce appunto la tensione di ronzio Vr. , tanto minore quanto maggiore è la capacità del condensatore.
Per eliminare il ronzio che accompagna la riproduzione non è necessario che la tensione Vr risulti esattamente uguale a zero, perché piccole variazioni della tensione Vu non disturbano sensibilmente la riproduzione.
In genere sono tollerabili variazioni di 1 V od anche di 2 V per ogni 100 V della tensione Vu; in breve si può dire che la tensione Vr può essere l’ 1 % od anche il 2 % della tensione Vu.
Da quanto detto in precedenza si comprende che per ridurre la tensione di ronzio a questi valori occorrerebbe usare un condensatore di elevatissima capacità, incorrendo così nel pericolo di avere eccessivi picchi di corrente; si ricorre perciò all’uso di una cella di filtro disposta tra il condensatore ed il resistore del circuito raddrizzatore.
Fig. 10
Questa cella di filtro è costituita da un induttore munito di nucleo ferromagnetico e da un condensatore, collegati come si vede nella fig. 10-a; l’induttore è detto più precisamente impedenza in quanto il suo avvolgimento presenta una certa resistenza ohmica, essendo formato da numerose spire.
La corrente dovuta alla scarica del condensatore collegato tra catodo e massa deve attraversare ora l’impedenza prima di giungere al resistore e poiché l’impedenza ha la proprietà di contrastare le variazioni della corrente, il resistore risulta percorso da una corrente quasi continua; d’altra parte, il condensatore collegato ai capi del resistore si comporta nei confronti della tensione come il condensatore collegato tra catodo e massa, contribuendo a ridurre la tensione di ronzio.
L’insieme formato dai due condensatori e dall’impedenza costituisce un filtro di livellamento che è detto ad ingresso capacitivo, in quanto il primo elemento del filtro è appunto il condensatore collegato tra catodo e massa. A causa delle notevoli capacità occorrenti, i due condensatori sono sempre del tipo detto elettrolitico, che è già stato descritto nelle lezioni pratiche; come si vede nella fig. 15, questi condensatori hanno l’armatura negativa collegata a massa e l’armatura positiva collegata ai punti che si trovano a potenziale superiore a quello di massa.
Poiché l’impedenza di filtro presenta l’inconveniente di essere costosa ed ingombrante, in molti casi si usa al suo posto un semplice resistore, il quale, pur non avendo la proprietà di ostacolare le variazioni della corrente, rallenta tuttavia con la sua resistenza la carica del secondo condensatore, rendendo meno variabile l’andamento della corrente.
Questi filtri sono anche detti filtri a resistenza e capacità (abbreviato RC), mentre i filtri muniti di impedenza sono detti filtri a induttanza e capacità (abbreviato LC).
Si usano anche filtri detti ad ingresso induttivo perché, come si vede nella fig. 10-b, il loro primo elemento è appunto l’induttore, mancando il condensatore collegato tra catodo e massa.
Per l’assenza di questo condensatore il diodo non viene più attraversato dai picchi di corrente, che potrebbero risultare pericolosi specialmente nei casi in cui si deve fornire una notevole corrente al carico.
I filtri ad ingresso induttivo si usano perciò per l’alimentazione di apparecchiature che richiedono una notevole potenza; nei ricevitori questi filtri non sono praticamente usati, in quanto la potenza di alimentazione è sempre piuttosto ridotta.
4. – ALIMENTATORI ANODICI
L’insieme formato dal raddrizzatore e dal filtro di livellamento costituisce un alimentatore anodico, così chiamato perché da esso si ottiene la tensione continua da applicare agli anodi dei tubi di un’apparecchiatura elettronica.
Nella fig. 11 sono riportati gli schemi completi di due tipi di alimentatori usati più comunemente; poiché i due alimentatori differiscono per il tipo di diodo, che in uno è ad accensione indiretta mentre nell’altro è ad accensione diretta, sono stati indicati anche i filamenti dei tubi.
Nel caso dell’alimentatore con diodo ad accensione indiretta (fig. 11-a), il trasformatore è provvisto di due avvolgimenti secondari: quello avente gli estremi collegati agli anodi del diodo e la presa centrale connessa a massa viene detto secondario di alta tensione (abbreviato AT) perché fornisce una tensione del valore di qualche centinaio di volt; è detto invece secondario di bassa tensione (abbreviato BT) quello che serve per l’accensione del filamento, in quanto la sua tensione è di pochi volt, in genere di 6,3 V.
Come si vede nello schema, questo secondario ha un estremo collegato ad un capo del filamento, mentre l’altro estremo è collegato a massa, a cui è pure connesso l’altro capo del filamento: in tal modo, il circuito di accensione del filamento risulta chiuso attraverso la massa del ricevitore.
Lo stesso secondario di BT serve anche per l’accensione degli altri tubi del ricevitore, i quali hanno anch’essi un capo a massa.
Dall’alimentatore si ottengono quindi due tensioni: una tensione continua, positiva rispetto a massa, di qualche centinaio di volt, che è detta anodica in quanto serve ad alimentare i circuiti anodici dei tubi del ricevitore, ed una tensione alternata, di pochi volt, con la quale si provvede all’accensione degli stessi tubi.
Fig. 11
Quando il diodo usato è del tipo ad accensione diretta (fig. 11-b), la tensione raddrizzata è ottenuta dallo stesso filamento, perché ora è questo elemento che, in mancanza del catodo, provvede all’emissione elettronica.
In conseguenza di ciò, il filamento non può più avere un capo connesso a massa come nella fig. 11-a, perché questo collegamento costituirebbe un cortocircuito per la corrente proveniente dal diodo.
Infatti, tale corrente giungerebbe direttamente a massa per mezzo del collegamento suddetto senza più attraversare l’impedenza di filtro ed i circuiti del ricevitore a cui deve essere inviata. Non incontrando la resistenza offerta dai circuiti del ricevitore, la corrente diverrebbe tanto intensa da bruciare il filamento.
Per evitare questo inconveniente, il circuito di accensione del diodo è completamente isolato da massa, avendo entrambi i capi del filamento collegati direttamente agli estremi di un apposito secondario di BT, come si vede nella fig. 11-b. Per l’accensione degli altri tubi del ricevitore si usa invece un altro secondario di BT, un estremo del quale è collegato a massa.
Progettare un alimentatore per amplificatore
Una serie di concetti generali prima di passare all’esempio pratico.
Il condensatore principale
Premesso che nel caso debba sostituire una valvola rettificatrice perchè esaurita in un vecchio ricevitore la sostituisco con un diodo 1N4007 con in serie una resistenza da 47 Ohm lasciando la vecchia al suo posto. In pratica è il suo circuito equivalente con i semiconduttori senza però compromettere il valore storico dell’apparecchio che rimane con tutte le sue parti originali, la aggiunta ha solo la mera funzione di riportare l’apparecchio in funzione.
Nella progettazione dei moderni amplificatori utilizzo direttamente diodi al silicio per la loro facile reperibilità e la maggiore efficienza.
Il primo condensatore dopo il raddrizzatore immagazzina la maggior parte dell’energia per l’intero amplificatore. Ogni semiciclo rettificato carica il condensatore sulla tensione CA di picco con un impulso di corrente breve ma grande. La tensione decresce poi quando la corrente di carico viene costantemente prelevata dal circuito dell’amplificatore, fino a quando non può essere nuovamente ricaricata come abbiamo visto in Fig. 8
La tensione di ripple Vr viene spesso espressa come percentuale della tensione CC massima. Una cifra tipica potrebbe essere del 10% per un amplificatore push-pull o del 5% per un amplificatore single-ended, sebbene questo dipenda in larga misura dai requisiti dei singoli circuiti. Pertanto, se puntassimo a un’alimentazione a 400 V cc con un’ondulazione del 5%, non desidereremmo più di 400 × 0,05 = 20 Vpp di tensione di ripple. Il condensatore principale può quindi essere approssimativamente scelto utilizzando la seguente formula:
C = I / (2 f Vr)
Dove I è la corrente di carico CC media, f è la frequenza di rete (50 o 60 Hz) e Vr è la tensione di ondulazione picco-picco desiderata. Questa è una formula un po “conservatrice”; in pratica la tensione di ripple si rivelerà un po ‘inferiore a questa. Tuttavia, una maggiore capacità mette anche a dura prova il raddrizzatore e il trasformatore perché richiede impulsi di corrente più grandi per mantenerlo carico. La maggior parte dei progetti di ampli tradizionali utilizzano da 22uF a 60uF se viene utilizzato un raddrizzatore di valvole o fino a 220uF con diodi al silicio (raramente si usano valori maggiori). Gli amplificatori single-ended necessitano di una maggiore capacità perché non annullano il ronzio come fanno gli amplificatori push-pull.
Se serve una tensione di lavoro alta, il solito trucco consiste nel mettere due condensatori in serie in modo che i loro valori di tensione si sommano.
Tuttavia, la capacità totale sarà dimezzata, quindi due condensatori da 100uF ammonterebbero a 50uF. Inoltre, i resistori devono essere aggiunti in parallelo al fine di incoraggiare la condivisione della stessa tensione tra i condensatori. I resistori dovrebbero essere uguali a 50 / C o meno, quindi due condensatori da 100uF avrebbero bisogno di un resistore da 500000 ohm (470k sarebbe la scelta più ovvia). Questi servono anche scaricare le capacità quando l’amplificatore è spento.
Filtri livellanti
La maggior parte degli amplificatori alimenta il primario del trasformatore di uscita direttamente dal condensatore principale. Tuttavia non è sufficiente a fornire la DC priva di rumore necessaria per le griglie dello schermo e gli stadi del preamplificatore, quindi è necessaria un’ulteriore livellamento.
Ciò si ottiene con una catena di filtri LC o RC (passa-basso), denominati in vario modo filtri di livellamento, bypass o disaccoppiamento. Questi nomi alternativi derivano dal fatto che ci sono realmente tre lavori correlati tra loro da eseguire:
1: filtra la tensione di ripple residua;
2: fornire un approvvigionamento energetico locale per richieste improvvise di corrente;
3: disaccoppia / isola ogni stadio dell’amplificatore dal resto.
Ogni fase di livellamento RC è un filtro passa-basso con una frequenza di taglio di:
f = 1 / (2 pi RC)
Ovviamente, l’unica frequenza che vogliamo veramente passare è 0Hz o DC, quindi facciamo solo la frequenza di taglio più bassa possibile, spesso al di sotto di 1HZ. Normalmente si vedono i condensatori di livellamento da 10uF a 100uF, qualsiasi cosa sia facilmente disponibile. Per una data capacità, una resistenza più grande abbassa la frequenza di taglio e quindi migliora la levigatura. Tuttavia, c’è anche una certa caduta di corrente continua attraverso il resistore a causa della corrente di carico che scorre in esso, quindi c’è un compromesso tra livellamento e caduta di tensione. Gli stadi di preamplificazione sono generalmente polarizzati al catodo e molto tolleranti rispetto alla tensione di alimentazione, quindi di solito non importa esattamente quale tensione si ottiene dopo la resistenza di caduta. Qualsiasi cosa da 250 V a 400 V è OK. Il resistore deve essere in grado di sopportare la piena tensione di alimentazione e la corrente di carica del condensatore all’avvio.
Concatenando i filtri insieme otteniamo una riduzione del ripple migliore. Gli stadi dell’amplificatore meno sensibili come le griglie dello schermo e l’invertitore di fase vengono alimentati dalle prime sezioni del filtro mentre gli stadi più sensibili ricevono l’alimentazione più filtrata, ma sono anche soggetti alla massima caduta di tensione. La valvola di ingresso è sempre l’ultima nella catena.
Molti amplificatori utilizzano un filtro choke-capacitor (LC) per alimentare le griglie dello schermo della valvola di potenza. Un filtro LC è un filtro di secondo ordine, quindi fornisce un’attenuazione più ripida dell’ondulazione rispetto a un filtro RC (di primo ordine), e un induttanza ha solo una piccola resistenza CC, quindi non fa cadere molta tensione CC. L’interesse in questo stadio è massimizzare la tensione al fine di massimizzare la potenza di uscita pulita. Il valore esatto della induttanza non è critico, ma va ricordato che un filtro LC risuona alla sua frequenza, che è data da:
f = 1 / (2 pi sqrt [LC])
Di solito è meglio mantenere la frequenza di risonanza al di sotto di 10 Hz, al di fuori dell’intervallo audio. Ciò richiederà un condensatore più grande di:
C = 1 / (L × [2 pi f] ^ 2)
Poiché i condensatori di filtro sono disponibili per la maggior parte nell’intervallo da 10uF a 100uF, di solito si vedono bobine nell’intervallo da 20 a 2 henry .
Dopo questa lunga ma doverosa premessa passiamo all’esempio pratico.
Esempio di progettazione
Per progettare l’alimentatore è necessario conoscere la quantità di corrente CC media che il circuito dell’amplificatore attirerà. Le fasi di preamplificazione saranno normalmente single-ended (classe A) in modo da disegnare corrente media costante. Se le valvole del preamplificatore sono ECC83 / 12AX7 allora saranno solitamente polarizzate intorno a 1 mA per triodo, o meno.
Se lo stadio di uscita è di classe AB (ad esempio quasi tutti gli amplificatori push-pull), la sua corrente aumenterà con il livello del segnale. Pertanto, le valvole di uscita saranno solitamente polarizzate a circa il 70% della dissipazione massima dell’anodo della scheda dati, consentendo in tal modo un certo margine di potenza, in modo che non si surriscaldino alla piena potenza.
Supponiamo che un amplificatore da 50 W usi tre ECC83 / 12AX7 e un paio di EL34.
Le valvole del preamplificatore consumeranno circa 6 x 1 mA = 6 mA (ci sono due triodi per valvola).
Gli EL34 hanno una potenza nominale di 25 watt massimo, quindi probabilmente saranno polarizzati intorno a 0,7 x 25 W = 17,5 W. Tuttavia, dovremmo lavorare con le cifre medie massime, cioè la piena corrente quando la dissipazione media aumenta a 25W. Pertanto, se la tensione di alimentazione CC grezza (primo condensatore) è pari a 400 V, ciascuno di essi consuma circa
25 W / 400 V = 62,5 mA o 125 mA per la coppia.
La scheda tecnica suggerisce un rapporto corrente tra schermo e anodo di 6,5, quindi possiamo aspettarci che le correnti dello schermo ammontino a
125 / 6,5 = 19 mA per la coppia.
Il totale per l’intero amplificatore è quindi
6 + 125 + 19 = 150mA.
Visto che usiamo i diodi al silicio, possiamo usare molta più capacità, meno ronzio. Se puntassimo a una tensione di ripple del 5%, allora significherebbe 400 × 0,05 = 20 Vpp. Il condensatore principale sarebbe quindi:
C = I / (2 f Vr) = 0.15 / (2 × 50 × 20) = 75uF.
Tuttavia, i condensatori più comuni sono da 450 V. Se ammettiamo una variazione di rete del 10%, il nostro 400 V HT potrebbe salire a 440 V, che è nei limiti. Ma dovremmo anche considerare un ulteriore incremento del 5% dovuto alle perdite del trasformatore quando non è al massimo carico, rendendo possibile un incremento fino a 462V. Sarebbe quindi una buona idea usare due condensatori da 250V serie per ottenere una tensione di lavoro più elevata. Occorrerebbe coppia da 150uF equivalente a 75uF, anche se probabilmente potremmo usare con una coppia di condensatori da 100uF, sicuramente più semplici da reperire poiché l’equazione sopra è conservativa. Ciascuno avrà bisogno di resistori di equalizzazione di <50 / C o 500000 ohm, ad esempio 470 k. Probabilmente non abbiamo bisogno di fare lo stesso per i condensatori di livellamento del preamplificatore perché le tensioni sono minori ed entro la tensione limite dei 450V
Usiamo una bobina per filtrare l’alimentazione alla griglia dello schermo. Ciò richiederà un altro paio di condensatori in serie poiché uno ha una resistenza molto bassa per limitare la corrente di dispersione, quindi potremmo usare un altro paio di elettrolitici da 100uF. Ciò equivale a 50uF, quindi se vogliamo mantenere la frequenza di risonanza sotto i 10Hz, la induttanza deve essere almeno:
L = 1 / (C × [ 2 pi f ] ^ 2) = 1 / (50 × 10 ^ -6 × [2 pi × 10] ^ 2) = 5 henry.
Da tener presente che deve sopportare senza saturazioni i 19 mA di corrente dello schermo e 6 mA di corrente del preamplificatore.
Se lo spazio è limitato, potremmo voler usare elettrolitici più piccoli per il preamplificatore, diciamo 22uF. Per una riduzione decente del ronzio dovremmo spingere la frequenza di taglio a una frequenza molto bassa, ad esempio 1Hz. Ciò significa che i resistori in caduta devono essere almeno:
R = 1 / (2 pi f C) = 1 / (2 pi × 1 × 22 × 10 ^ -6) = 7234 ohm.
Tuttavia, dal momento che 6 mA della corrente del preamplificatore dovranno fluire nel primo resistore, questo causerebbe un calo di tensione, forse eccessivo. Potremmo quindi voler abbassare il primo resistore a 4,7k, che farebbe cadere solo
6mA × 4,7k = 28V
e dissipare
0,006 ^ 2 × 4700 = 0,17 watt.
I resistori in caduta successivi potrebbero forse essere più grandi, sebbene 22uF e 4.7k forniscano una frequenza di taglio di 1.5Hz che è abbastanza rispettabile, quindi non c’è nulla di male nel renderli tutti uguali. Lo schema finale è mostrato, con tensioni nominali (massime).
Naturalmente lo schema di un amplificatore non è solo costituito da tali elementi, essi sono solo quelli necessari alla sola alimentazione, le polarizzazioni dei singoli stadi sono state omesse per semplificare la trattazione dell’argomento.
Con i prossimi articoli (in fase di stesura) sui successivi stadi, chiunque potrà cimentarsi nella progettazione e realizzazione di un proprio amplificatore valvolare.
Saluti Amilcare
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